12. Occlusione venosa retinica

Obiettivi formativi:

  • Ripassare l’anatomia vascolare della retina
  • Individuare le caratteristiche salienti della occlusione venosa retinica e la distinzione nella variante centrale o di branca
  • Quali approfondimenti diagnostici richiedere al paziente
  • Orientarsi sulle strategie terapeutiche 

Introduzione

L’occlusione venosa retinica (RVO) è una patologia vascolare retinica relativamente frequente che interessa per lo più la fascia di età medio-avanzata, con una prevalenza stimata intorno a 16 milioni di persone in tutto il mondo. L’incidenza della RVO è dello 0.7% per la fascia di età tra i 49 e i 60 anni e raggiunge il 4.6% dopo gli 80 anni. 

La RVO è causata da un’ostruzione al drenaggio venoso della retina, che riconosce varie cause come gli eventi trombotici, compressioni estrinseche o patologie della parete vascolare. Il profilo clinico del paziente con RVO è variabile, e va da forme asintomatiche a quadri clinici più gravi, caratterizzati da una diminuzione della acuità visiva (VA), emorragie retiniche, tortuosità vascolare, ischemia e lo sviluppo di edema maculare (EM). 

In base alla sede dell’occlusione, possiamo riconoscere e distinguere due tipologie di RVO, che si differenziano tra l’altro per la clinica e l’evoluzione della patologia stessa, e sono: la trombosi venosa di branca della retina (BRVO, l’occlusione di branche venose periferiche della retina) e la trombosi venosa centrale della retina (CRVO, l’occlusione di vasi venosi centrali della retina). La BRVO costituisce l’80% delle RVO, rappresentandone quindi la forma più comune, e si verifica a livello degli incroci arterovenosi e, dato che quest’ultimi si concentrano nel quadrante temporale superiore, in tale sede si riscontrano la maggior parte della BRVO

La CRVO viene suddivisa in forma ischemica e forma non ischemica in base alla grandezza dell’area interessata dall’occlusione, che viene identificata e analizzata mediante la fluoroangiografia retinica (FAG). Se l’area interessata dall’occlusione risulta essere superiore a 10 aree discali (dove per areai discale si intende un’area circolare dello stesso diametro del nervo ottico) si parla di forma ischemica della CRVO, altrimenti avremo una forma non ischemica di CRVO. La distinzione tra le due forme di CRVO è importante dal punto di vista clinico-prognostico in quanto i pazienti affetti dalla forma ischemica tendono a sviluppare più frequentemente una neovascolarizzazione dell’iride e quindi glaucoma neovascolare. I principali fattori  di rischio della CRVO sono l’aterosclerosi, il glaucoma e condizioni d’infiammazione e edema del nervo ottico. 

La BRVO ha varie classificazioni, ognuna delle quali prende in considerazione delle caratteristiche quali: la localizzazione, lo stato di perfusione e lo stato di malattia. In base alla localizzazione dell’occlusione, la BRVO si definisce major oppure macular. Il coinvolgimento delle branche principali (più frequentemente l’arcata supero-temporale), con emorragie retiniche e piccoli essudati cotonosi, caratterizza la forma major; l’interessamento di piccole vene che drenano il territorio maculare e a cui si associano cambiamenti microvascolari e edema maculare settoriale, caratterizza il quadro di macular BRVO.

A seconda dello stato di perfusione si distinguono la forma ischemica e la forma non ischemica. Quest’ultima, più frequente e meno grave dal punto di vista clinico, può successivamente complicarsi e convertirsi nella forma ischemica. 

Considerando infine lo stato e il decorso della malattia, la BRVO può essere distinta in acuta e cronica. La forma acuta è caratterizzata da emorragie intraretiniche a fiamma e puntiformi e da vene dilatate e tortuose ad andamento segmentale.

Anatomia e fisiologia della circolazione retinica

La circolazione retinica

Il bulbo oculare è irrorato dall’arteria oftalmica, ramo dell’arteria carotide interna. Dal punto di vista vascolare, la retina è divisa in due distretti o sistemi, indipendenti tra loro, che sono il sistema dell’arteria centrale della retina e il sistema coriocapillare. La circolazione retinica è di tipo terminale e priva di anastomosi.

Il sistema dell’arteria centrale

Il sistema dell’arteria centrale della retina provvede ad irrorare lo strato delle cellule ganglionari e delle cellule bipolari, nonché lo stato delle fibre nervose, ed è rappresentato dall’arteria centrale della retina. L’arteria retinica centrale è la prima branca dell’arteria oftalmica e decorre nello spessore del nervo ottico. A livello della papilla ottica, l’arteria centrale della retina si divide in due rami maggiori, ognuno dei quali si divide a sua volta in un ramo temporale e un ramo nasale. Dalle arteriole retiniche originano due plessi capillari. Il primo è detto plesso capillare superficiale e risiede nello strato delle fibre nervose e delle cellule ganglionari, il secondo è chiamato plesso capillare profondo e risiede nello strato nucleare interno. Lo strato dei fotorecettori e dell’epitelio pigmentato sono avascolari e ricevono supporto metabolico dalla coroide. A livello foveale è presente una zona acapillare, con un diametro di circa 400-500 µm e prende il nome FAZ (foveal avascular zone). Il drenaggio venoso della retina generalmente segue il decorso dei vasi arteriosi. Le vene retiniche sono presenti nella parte interna della retina, dove occasionalmente s’interdigitano con le arterie associate. Lì dove due vasi s’incrociano, l’arteria generalmente giace anteriormente alla vena e i due vasi hanno una comune tonaca avventizia. Gli incroci arterovenosi sono molto più rappresentanti nell’emiretina temporale rispetto a quella nasale, perché i vasi nasali assumono un decorso più rettilineo. Gli incroci sono molto importanti perché rappresentano il più comune sito di ostruzione venosa retinica di branca. Le vene retiniche drenano nella vena retinica centrale.

Il sistema coriocapillare

Il sistema coriocapillare provvede al supporto metabolico degli strati esterni della retina, ovvero lo strato nucleare estero e l’epitelio pigmentato. La coroide è essenziale per la funzione retinica, e una sua compromissione può esitare nella disfunzione e nella morte dei fotorecettori e dell’Epitelio Pigmentato Retinico (EPR). Alterazioni della coroide compromettono inoltre l’assorbimento di luce, la termoregolazione e la modulazione della pressione intraoculare. Il sistema coriocapillare è costituito dai rami ciliari dell’arteria oftalmica. I rami ciliari, generalmente in numero di 2 o 3, si dividono in circa 10-20 arterie ciliari posteriori brevi che penetrano nel bulbo al polo posteriore e si dispongono intorno alla papilla ed alla macula, e 2 arterie ciliari posteriori lunghe che decorrono nello spazio sovracoroideale e forniscono rami alla coroide anteriore.

La barriera ematoretinica

La barriera ematoretinica (BER) è una struttura preposta al controllo degli scambi di metaboliti e di prodotti di scarto tra il lume vascolare e la retina, contribuendo così alla formazione di un microambiente specializzato della retina nervosa, con l’aiuto di giunzioni aderenti e tight junction.

Le alterazioni della BER si riscontrano in molte retinopatie, a dimostrazione del fatto che l’integrità di questa struttura è fondamenta per la normale fisiologia della struttura retinica. In particolare possiamo notare che c’è una rottura della BER interna, con perdita di componenti ematiche all’interno della retina nervosa, in molte condizioni patologiche clinicamente importanti tra cui la retinopatia diabetica, l’RVO, e alcune patologie infiammatorie. La rottura della BER esterna può verificarsi in condizioni quali la degenerazione maculare legata all’età, la corioretinopatia sierosa centrale, l’ipertensione e il distacco sieroso della retina.

Occlusione venosa retinica

Fattori di rischio

L’occlusione venosi retinica è una patologia che si riscontra per lo più in individui con età superiore a 50 anni, per cui questo è il primo fattore di rischio da tenere in considerazione. Tutte le condizioni che causano, in maniera diretta o indiretta, un danno alla struttura endoteliale dei vasi e, in particolare, al letto vascolare retinico, possono essere considerati fattori di rischio per lo sviluppo di RVO. Tra queste condizioni ritroviamo i più comuni fattori di rischio vascolare come l’ipertensione, le patologie cardiovascolari,  la dislipidemia, il diabete, il fumo di sigaretta, le patologie renali e le malattie infiammatorie sistemiche. 

L’ipertensione è considerata la maggiore protagonista nella patogenesi dell’RVO. Un ruolo importante sembra essere svolto anche dal diabete. In particolare, il diabete sembra essere più significativo nello sviluppo della CRVO, mentre l’ipertensione è più diffusa tra i casi di BRVO. 

La trombofilia, ovvero la propensione a sviluppare trombi nel letto vascolare venoso, è stata a lungo oggetto di studio, soprattutto nei casi di pazienti giovani dove non possono essere considerati i fattori di rischio età correlati .

Tra i fattori di rischio, annoveriamo anche la sindrome da apnee ostruttive del sonno.

Sono considerati ulteriori fattori di rischio per lo sviluppo di RVO il sesso maschile, l’ipermetropia, la retinopatia ipertensiva e il glaucoma. l’ipertensione oculare (IOP) può causare una compressione fisica della vena centrale della retina mentre passa attraverso la lamina cribrosa, essa stessa già alterata dalla IOP. In presenza di glaucoma, l’incidenza della  CRVO raggiunge il 4,5%.Il riconoscimento del fattore di rischio è un momento chiave nella gestione di un paziente con RVO, importante non solo per il corretto trattamento dell’occhio affetto dalla patologia ma anche per la prevenzione della comprata di quest’ultima nell’occhio sano controlaterale. Per tale ragione è sempre raccomandata una gestione multidisciplinare del paziente con RVO, con la partecipazione di altri specialisti. Ricordiamo infine, che nel 25% dei pazienti che ricevono diagnosi di RVO non sia riscontrabile nessun fattore di rischio anche dopo aver eseguito un’attenta anamnesi, esame obbiettivo, imaging e indagini di laboratorio.

Patogenesi

La patogenesi della RVO non è ancora chiara in ogni suo passaggio. La catena di eventi che porta alla RVO è diversa a seconda che si tratti di una CRVO o di una BRVO.

Per quanto riguarda la CRVO, si pensa che la trombosi venosa possa nascere da un flusso turbolento all’interno del sistema venoso, causato dalla presenza di fenomeni aterosclerotici presenti nelle arterie vicine. Questa turbolenza causerebbe un danno endoteliale che innesca il meccanismo trombotico. Una teoria alternativa prevede, come primum movens, evento di natura infiammatoria o compressiva a carico del nervo ottico. 

Alterazioni del flusso venoso e il successivo danno endoteliale, sono chiamati in causa anche per spiegare la patogenesi delle BRVO. In questo caso, il processo aterosclerotico innescherebbe la trombosi venosa in prossimità di un incrocio arterovenoso. Raramente , patologie oculari locali, specialmente di natura infiammatoria possono esitare in una BRVO secondaria: toxoplasmosi, malattia di Behçet, sarcoidosi oculare.

A prescindere dal meccanismo che porta alla RVO, l’occlusione dei vasi maggiori porta ad una aumenta pressione intercapillare a cui segue una rottura della parete dei capillari con emorragia e al tempo stesso, ischemia retinica. Proprio quest’ultima gioca un ruolo centrale nei meccanismi che condurranno poi all’EM, responsabile della riduzione dell’acuità visiva. Esattamente come in altri tessuti, l’ischemia favorisce il rilascio da parte delle cellule che ne sono esposte, di citochine come l’IL-6, l’IL-8, la Monocyte Chemotactic Protein-1 (MCP-1), la molecola di adesione intercellulare solubile di tipo1(ICAM-1) l’Interferon gamma-induced protein 10 (IP-10), il Platelet Derived Growth Factor –AA (PDGF-AA) e soprattutto del Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF).

Il VEGF è in importante fattore di crescita che stimola l’angiogenesi. Tuttavia, nel contesto della RVO e specialmente nella CRVO, esso provoca un danno alla barriera ematoretinica con un aumento della vasopermeabilità, a cui segue la formazione dell’edema maculare. Come si vedrà in seguito, il razionale della terapia con farmaci anti-VEGF è spiegato proprio dal ruolo che questo fattore di crescita ha nella genesi dell’EM. Recenti teorie sostengono che anche se l’ostruzione venosa primaria fosse superata, l’edema maculare può persistere molto più a lungo a causa di un ciclo perpetuante di permeabilità vascolare indotta da VEGF che porta a edema maculare, danno capillare, e ischemia retinica, che stimolano a loro volta l’ulteriore rilascio di VEGF e altre citochine infiammatorie che portano all’edema maculare cronico.

Presentazione clinica e diagnosi

I punti chiave per inquadrare un paziente affetto da RVO sono:

  • Acuità visiva
  • Difetto pupillare afferente
  • Aspetto oftalmoscopico del fundus oculi
  • Imaging con FAG e OCT.

Sotto il profilo clinico, l’aspetto preponderante della RVO è il calo del visus, tipicamente monolaterale, indolore e con un decorso acuto. Sebbene la riduzione della acuità visiva sia pressoché costante nei pazienti con RVO, l’entità di tale riduzione può essere variabile. Non è raro  infatti, osservare soggetti che hanno una acuità visiva all’esordio superiore ai 5/10, e altri con residuo visivo inferiore a 1/10. Un altro aspetto interessante a livello clinico è la presenza, soprattutto nella CRVO, di un difetto pupillare afferente. L’esame del fundus oculi rileva la presenza di vene retiniche dilatate e tortuose, con la presenza di emorragie ed essudati cotonosi Molto importante è il ruolo dell’imaging per confermare la diagnosi e per l’identificazione del tipo di RVO. Sotto l’aspetto diagnostico, la FAG consente al clinico di distinguere le forme ischemiche da quelle non ischemiche e di classificare la RVO in CRVO o BRVO. Ugualmente importante è la Tomografia a Coerenza Ottica (OCT),  grazie alla quale è possibile valutare qualitativamente e quantitativamente la presenza di edema macular e lo spessore retinico, e di valutare l’andamento di questi parametri nel follow up del paziente e la risposta alla terapia.

CRVO

Come detto in precedenza, la CRVO si divide in ischemica e non ischemica. Ad oggi, con l’introduzione della terapia anti-VEGF, la distinzione tra queste due forme assume un’importanza più prognostica che clinica, dato che l’incidenza del glaucoma neovascolare e sensibilmente maggiore nelle forme ischemiche. 

Le forme non ischemiche sono il 75-80% delle CRVO e rappresentano la variante più lieve. L’aspetto clinico più importante è il calo del visus di vario grado che può essere preceduto o meno da transitori offuscamenti della visione. Generalmente alla forma non ischemica non si associa difetto pupillare afferente, contrariamente a quanto avviene nella forma ischemica. L’esame del fundus oculi è senza dubbio più caratteristico, con vene dilatate e tortuose ed emorragie retiniche in tutti e quattro i quadranti. Le emorragie retiniche sono puntiformi e a fiamma, presenti in un numero variabile.  Caratteristiche sono le ectasie e le tortuosità delle vene retiniche, e comune è l’edema della testa del nervo ottico. Gli essudati cotonosi sono rari e, se presenti, sono pochi e localizzati posteriormente. L’emorragia e l’EM sono responsabili del calo del visus. Quest’ultimo può andare incontro a risoluzione, con una restitutio ad integrum del profilo retinico, oppure può persistere. In questo secondo caso, l’esito può anche essere la perdita permanente del visus, formazione di una membrana epiretinica, ed in fine, fibrosi subretinica.

Le forme ischemiche rappresentano il 20-25% delle CRVO e costituiscono i casi più severi con una occlusione venosa totale. Il grado di riduzione della acuità visiva è elevato con un residuo visivo in genere inferiore a 1/10. Il riscontro di un difetto pupillare all’esame obiettivo non è infrequente. L’esame del fundus oculi è caratterizzato da emorragie retiniche estese in tutti i quadranti, specialmente nel polo posteriore. Il disco ottico è edematoso, le vene retiniche marcatamente dilatate e tortuose, con essudati cotonosi generalmente presenti e numerosi. L’edema maculare e l’ischemia retinica sono spesso severi e questo si riflette nella peggiore acuità visiva dei pazienti. 

Esami strumentali quali FAG, OCT hanno un’importanza fondamentale. La FAG è l’esame cardine per il riconoscimento delle diverse forme di RVO, ischemica, non ischemica, e per l’individuazione di alterazioni vascolari secondarie, di zone di non perfusione e di neovascolarizzazioni secondarie. In un paziente con CRVO, il riscontro alla FAG di aree di non perfusione corrispondenti a 10 o più aree discali permette di classificare la CRVO come ischemica, e quindi di considerare il paziente come un soggetto a maggior rischio di sviluppo di neovascolarizzazione del segmento anteriore e glaucoma neovascolare. 

La distinzione tra CRVO ischemica e non ischemica si basa dunque sul:

  • residuo visivo (con cut off a 1/10 che divide le due forme);
  • difetto pupillare afferente (presente e marcato nella forma ischemica e lieve o assente nella non ischemica);
  • caratteristiche oftalmoscopiche del fondo dell’occhio (emorragie, tortuosità vascolare e essudati cotonosi, più numerosi e marcati nella forma ischemica);
  • estensione dell’area di non perfusione alla FAG.

BRVO

Il profilo clinico di un paziente affetto da BRVO dipende dal coinvolgimento della macula. Se la regione maculare non è coinvolta dall’evento trombotico, il paziente può essere asintomatico, al contrario, qualora ci fosse un interessamento maculare, l’acuità visiva può essere lievemente compromessa oppure quasi nulla con soggetti che riescono a percepire solo il moto della mano. Oltre a questo calo del visus, possono essere presenti offuscamenti visivi che precedono la trombosi, e difetti campimetrici. 

All’oftalmoscopia sono caratteristiche le emorragie intraretiniche a fiamma confinate al territorio della vena retinica interessata, la distribuzione delle quali assume una configurazione triangolare con l’apice in corrispondenza del sito dell’occlusione.

La diagnosi di BRVO in acuto si basa sull’osservazione clinica di emorragie retiniche nel territorio di distribuzione della vena retinica ostruita, sull’immagine ottenuto tramite l’esecuzione della FAG e dell’OCT.

Gestione e terapia

Di fronte alla diagnosi di RVO dobbiamo innanzitutto indagare i fattori di rischio. Contemporaneamente alla gestione oculistica della patologia, è sempre opportuno indirizzare il paziente dal curante e/o dallo specialista in cardiologia per una gestione multidisciplinare e sistemica dell’episodio trombotico. 

Nei pazienti anziani con patologie cardiovascolari non sono necessari esami di laboratorio. Nei casi atipici ovvero nei pazienti con età inferiore a 50 anni, senza apparenti patologie cardiovascolari, ematologiche o infiammatorie, nei casi di RVO bilaterali o ricorrenti è indicato eseguire approfondimenti diagnostici. In particolare, è opportuno richiedere:

  • Visita cardiologica con ECG, valutazione della PA ed eventuale ECO Doppler dei vasi Epiaortici;
  • Esami ematochimici con emocromo completo, glicemia, elettroforesi proteica, elettroliti, creatinina, urea (un’eventuale disfunzione renale potrebbe essere causa di ipertensione renale ) omocisteina, screening trombofilico con mutazione del fattore V di Leiden, proteina C e S, deficit dell’antitrombina III, anticorpi anti fosfolipidi, TSH, FT3 e FT4 (la presenza di disfunzione tiroidea si associa ad una incidenza maggiore di RVO).

La diagnosi e il trattamento di una patologia sistemica associata non migliora la prognosi visiva nell’occhio affetto da RVO, ma potrebbe aiutare a prevenire una successiva occlusione nell’occhio contro laterale. 

Una volta indagato il fattore di rischio (che ricordiamo possa rimanere sconosciuto in determinati casi), si procede al trattamento della patologia. L’introduzione di strategie terapeutiche quali le iniezioni di farmaci intravitreali (IV) con principi attivi antiinfiammatori e anti-VEGF hanno di fatto soppiantato la fotocoagulazione laser che ha rappresentato lo standard terapeutico per molti anni, ma che rimane comunque una opzione idonea in determinati casi.

Per la corretta scelta dell’approccio terapeutico, una volta fatta distinzione tra CRVO e BRVO, è necessario:

  • Valutare la presenza di EM;
  • Stimare il grado di ischemia e il potenziale rischio di neovascolarizzazione retinica e iridea (con successivo rischio di glaucoma neovascolare).

Il due principi cardine su cui si basano le scelte terapeutiche sono: l’utilizzo di farmaci Anti-VEGF per trattare l’edema maculare e l’utilizzo della fotocoagulazione laser per trattare la neovascolarizzazione iridea e retinica nei pazienti con CRVO.

Edema maculare

Il trattamento dell’EM non cambia a seconda che si tratti di BRVO o CRVO. Attualmente il trattamento indicato è l’iniezione intravitreali Anti-VEGF. I farmaci attualmente più utilizzati sono l’Aflibercept, il Ranibizumab e il Bevacizumab. Quest’ultimo rimane un farmaco off label per l’utilizzo di patologie oculari sebbene la sua efficacia e sicurezza sia stata ampiamente dimostrata. L’utilizzo invece di corticosteroidi intravitreali come il triamcinolone e il desametasone non è considerato di prima linea a causa dei potenziali effetti collaterali come lo sviluppo di glaucoma e di cataratta. Ad oggi, l’utilizzo dei corticosteroidi è riservato ai pazienti in cui è controindicato l’utilizzo di farmaci Anti- VEGF, per lo più per ragioni cardiovascolari.

Neovascolarizzazione

La fotocoagulazione laser panretinica (PRP) rimane la scelta terapeutica indicata nei casi di CRVO con neovascolarizzazione iridea e retinica. L’utilizzo aggiuntivo di farmaci Anti-VEGF può essere indicato nei casi in cui l’angiogenesi non risulti completamente controllata dalla terapia laser. Nei pazienti con BRVO la fotocoagulazione è indicata nei casi di neovascolarizzazione retinica per ridurre il rischio di emorragie vitreali. In questo caso va trattata solo l’area di non perfusione individuata mediante FAG.

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